le evidenze scientifiche e la cronaca luttuosa

Nel giorno che le corporazioni mediche tornano a farsi sentire (organizzate da vecchie conoscenze?) per condizionare il Presidente della Regione Bonaccini, i giornali riportano la morte perinatale di un bambino nato da una mamma di montagna che è andata a partorire in un punto nascita lontano, considerato sicuro.
Potremmo polemizzare dicendo che il modello che vogliono loro non protegge a sufficienza “la diade madre-neonato”, mentre i nostri punti nascita di montagna han salvato tante vite di madri e bambini.
Ma questo modo di ragionare basato sull’incutere paura non ci appartiene.Ci focalizziamo invece sul fatto che per quanto tragico sia l’evento, il livello di sicurezza dei parti in Italia è ai primi posti nel mondo, e lo era anche e soprattutto quando erano aperti i punti nascita in montagna.
Prova ne è la Toscana che, con quattro punti nascita con meno di 500 parti aperti in deroga (2 in montagna e 1 in un’isola), ha zero mortalità perinatale evitabile, contro l’11% della Lombardia e il 38% della Sicilia. E la mortalità perinalale totale della Toscana risulta così del 2,4‰ contro il 4‰ della media italiana.
Ora, al di là della volgarizzazione arrogante che le sigle mediche si concedono, è giusto ricordare che i nostri punti nascita emiliani di montagna erano sicuri come lo sono quelli della pianura, perché rispettavano gli standard tecnici e professionali richiesti dalla normativa italiana.
Sia chiaro a tutti: la riapertura che ci attendiamo non può essere giocata al ribasso sulla pelle delle donne e dei bambini.
I quattro punti nascita che la Regione vuole riaprire in montagna devono rispettare i pre-requisiti previsti dalla normativa per i punti nascita di I livello.
La legge italiana prevede inoltre che i punti nascita che forniscono assistenza in territori difficili (non vicino a casa come offensivamente scrivono le corporazioni mediche) operino in deroga al numero minimo dei 500 parti e non sono tenuti al conseguimento degli obiettivi di riduzione dei Tagli Cesarei.
Noi ci aspettiamo quindi che la strada scelta dalla Regione Emilia Romagna per riaprire i Punti Nascita della montagna emiliana attraverso l’istituto speciale di un protocollo sperimentale sia aderente alla normativa dei punti nascita di I livello, al fine di poter richiedere successivamente un nuovo parere ministeriale e acquisire così, in via definitiva, la piena titolarità dell’attività, svincolata da soglie numeriche.
Le carenze croniche di risorse del personale (quanto han dormito le corporazioni?) vanno risolte agendo sulle scuole di specialità e ottimizzando le risorse attuali: non hanno senso di rimanere aperte le strutture sotto i 500 parti in territori già coperti da altre strutture, mentre va garantita l’assistenza al parto dove oggi non esiste, ovvero su superfici vastissime delle province emiliane.

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